lunedì 16 settembre 2013

Delirio di un Druido Pazzo

“Vi è mai capitato di desiderare di avere il potere di modellare le nuvole?
Avere la capacità di scrivere i propri pensieri nel cielo, imprimerli tra il sole e la luna, in modo da trasmetterli a tutte le persone?”

La notte era perfetta.
I miei passi scricchiolavano sopra le foglie secche d’autunno e un vortice d’aria fresca circondava la mia ombra gentile, che vagava tra gli alberi del bosco. Un brivido di freddo, o forse di solitudine, mi attraversò la spina dorsale, facendomi stringere le spalle con un debole tremolio. Sopra la mia testa le fronde degli alti pini celavano parzialmente il cielo ai miei occhi pensierosi e la luce della luna piena filtrava tra un reticolo di rami e foglie, dando al suolo un’esistenza lattiginosa e trasformando la bassa nebbiolina della sera in un fumo azzurrognolo che abbracciava le radici degli alberi.
Il gufare di una civetta.
I rumori della notte cullavano i miei pensieri bambini in dolci e calde braccia: il vibrare delle foglie risuonava come un flauto suonato dalle invisibili dita del vento; i versi degli animali, un coro di viole e tamburi; il frinire dei grilli, un concerto di armoniche; lo scrosciare del ruscello, tanti applausi di un pubblico immaginario. Tutto sembrava un concerto di musica classica, dolce ed imponente allo stesso tempo, in cui il maestro ero io, con le mie traiettorie improvvise, i miei passi croccanti, il mio respiro profondo.

E pensavo…

Voi…

Voi…

Voi…
Esseri umani…
Voi non capite niente.
Ve ne state rinchiusi nelle vostre città, nelle vostre case, prigionieri inconsapevolmente volontari di una realtà che vi siete creati per sfuggire ad una tale bellezza. Perché? Perché siete voluti scappare da questa bellissima realtà, in cui tutto quello che avevate era guadagnato? Potevate godere appieno di quel che ricevevate dalla Grande Madre Natura, e invece avete inventato un mondo grigio in cui potete avere tutto e non potete godervelo. Perché avete lasciato questa vita breve e semplice, per vivere in un mondo longevo e complicato? Un mondo dove esiste il miraggio dell’immortalità che vi illude di guarire da quella malattia incurabile che si chiama Morte. Perché avete abbandonato il necessario per ricercare il bene? Un bene che a volte viene frainteso per fronzoli inutili che abbelliscono il corpo e svuotano la mente.

Quali erano le vostre paure, quali le insicurezze che vi hanno portato a creare questo mondo pieno di miti fasulli e déi fittizi, che tranquillizzano le vostre vite? Avevate il tutto nel non possedere niente, ora possedete tutto ma non avete niente. Dove sono finiti la vostra natura, la vostra animalità, il vostro istinto? Lo avete cancellato. L’istinto: vera matrice dei sentimenti. Lo avete abbandonato per affogare nella ragione, che vi allontana da tutto ciò che vi circonda e poi lo distrugge.

Vagate senza una meta tra ufficio e casa attraversando chilometri di cemento. Chiedete a déi e potenti qual è il significato della vostra esistenza, non capendo che le vostre vite avrebbero un senso se solo gliene attribuiste qualcuno.
Già…Le vostre vite.
Vi ponete domande come “chi siamo”, “qual è lo scopo dell’uomo” e cercate risposte nel vostro futuro interrogando i maghi del mercato che vi indicano quale sarà il vostro reddito o di quanto aumenterà la vostra pensione, suggerendovi, in questo modo, che il vostro scopo è quello di servire il moloch dello stato finché morte non vi separi. Vi innamorate della maestosità del cielo cercando risposte urlando preghiere che non hanno esito, attendendo sacerdoti del nulla che vi ammaestrano a dedicare il vostro pensiero all’immensità degli spazi siderali, illudendovi che in tale grandezza ci siano tutte le eritàv. Il cielo è solo un ammaliante dedalo senza uscita: un vuoto infinito e gelido dove vi è spazio solo per vagabondi eterni in cerca di brandelli di verità chiamate divinità: una ricerca destinata a chiamarsi perdita. Folli! Siete come le falene che cercano di toccare il sole e si scottano con il fuoco! L'obiettivo non è il cielo ma voi stessi.
Bisogna puntare al cielo senza mai avere la necessità di raggiungerlo veramente.
La Natura è una grande maestra e ogni tanto bisogna tornare a prenderci qualche lezione. Pensate agli alberi, maestosi e immobili: ogni anno crescono e vanno sempre in alto, il loro scopo è crescere sempre di più, incuranti delle intemperie. Crescono guardando il cielo, eppure non staccano mai le loro radici dal suolo. Sanno che per crescere hanno bisogno del terreno che li ha generati, da cui ricavano nutrimento costante. Una terra da cui non possono staccarsi perché vi sono legati a doppio filo. Abbandonare la Terra significa smettere di crescere e di “puntare in alto”; ma allo stesso tempo vuol dire danneggiarla irrimediabilmente, perché qualsiasi cosa che vive su di essa è sia ingranaggio sia linfa vitale. Voi uomini avete dimenticato tutto questo. Avete disancorato le vostre radici, per volare via, perdervi nel cielo che, anche se bello e attraente, è vuoto, come il più freddo dei vasi in disuso. Avete dimenticato chi siete, perché il vostro amore per gli astri è diventato follia, ossessione. E ora state morendo, siete creature destinate a sparire, ma non per i pungenti attacchi del vento o per i flagelli delle malattie. State scomparendo per le vostre illusioni, che, come forbici immonde, hanno staccato quel cordone ombelicale che vi teneva attaccati alla vostra unica fonte di vita; e con voi state trascinando tutto il pianeta, in una valanga inarrestabile che finirà nel vuoto di un sogno.
Fermatevi! Riprendete in mano le vostre radici. Ricordate! Ricordate chi siete! Ricordate che prima di essere degli umani siete degli animali, e prima ancora degli esseri viventi di questo pianeta. Rendersi conto di far parte di un grande meccanismo, vuol dire sapere quale posto occupare per mantenere la struttura stabile. Le creature della Terra, si adoperano per mantenere l’equilibrio! Voi ormai non più.
Siete solo dei coinquilini scomodi nel grande palazzo della Natura.

Eremita delle Fronde

venerdì 26 ottobre 2012

Ritornare alla Terra

E' semplice...
Quando esci di casa e ti rendi conto della monocromia del mondo, il tuo radar si concentra su ciò che ha colore. E' un bisogno sensoriale, primordiale. E' come essere un uccello in gabbia che intravede, tra gli spazi delle sbarre, la sconfinatezza del mondo. E quando scopri che oltre le pareti della tua casa e della tua città esistono meraviglie che non si possono raccontare, quando intravedi anche solo un piccolo spiraglio di colore, solo allora accade che la curiosità comincia a divorarti, da dentro, e inizi a comprendere che quei muri, quelle strade, quel lavoro non ti bastano più; che ciò che ti circonda sono solo trappole di cemento e metallo troppo strette per contenere uno spirito ancestrale come il tuo; che la complessità dei tuoi giorni è un sussurro davanti al grido della vita e la sua semplicità.
Se solo quei muri quei potesserò parlare ti racconterebbero di quanto sei diventato rapido nel sfuggirgli e di quanto sei diventato evanescente, sempre in fuga, avanti e indietro, destra e sinistra, e tutte le direzioni: inafferrabile come il vento che ti pettina i capelli in una mattinata di ottobre.
A quel punto il tuo costante fuggire diventa uno stile di vita. Una nuova spinta per vivere a contatto con il residuo più basso e nascosto del tuo spirito. Una reminescenza antica e dimenticata, che parla di melodie e profumi, colori e sapori, saggezza e semplicità. Quel piccolo granello d'istinto animale comincia a scivolarti nelle viscere e poi salire su, fino al cervello, per poi invaderti gli occhi le mani e ritornare infine nel petto a battere al ritmo di potenti tamburi. Come un contagio si propaga fino alla più remota cellula del tuo corpo insinuandosi in ogni molecola, in ogni atomo, in ogni stringa di energia.


E finalmente riapri gli occhi e ti sembra di essere nato per una seconda volta: abbandoni i muri alle tue spalle, le strade che scorrevano sotto di te, e l'aria malsana del tuo stipatissimo ufficio e scopri che esistono colori che danzano davanti a te sottoforma di fiori e farfalle; scopri che l'aria ha un profumo che non si può esprimere; che ci sono melodie e sussurri che raccontano storie mai narrate; che ogni cosa vista e sentita si può tradurre in un gusto che spinge insistente sul palato; che puoi toccare forme inaspettate e sempre diverse, come impronte digitali dell'indefinito. Scopri che puoi toccare la terra e sentirla vivere, respirare, muoversi intorno a te e dentro di te. Perché la terra è la nostra casa primordiale, l'humus da cui siamo partiti, per poi dimenticarci di avere radici. E quella terra non ti ha abbandonato, ma ha lasciato dentro di te una piccola radichetta, un piccolo cordone ombellicale per ricordati da dove sei partito, per ricordarti che non importa di quanto ti sei allontanato, o quanto ti sei dimenticato, lei sarà sempre lì ad aspettarti e a riaccoglierti fra le sue braccia, per ripartire insieme, ritornando alla Terra.